In orbita dal 2009, il telescopio spaziale Planck lanciato dall'ESA ha scattato la sua "fotografia" alla radiazione cosmica di fondo a microonde, la prima luce che si diffuse nel cosmo. Sulla base dei dati acquisiti dal telescopio, gli scienziati hanno così elaborato una nuova mappa dell'universo primordiale con un grado di definizione finora mai raggiunto. Trovando molte conferme del "modello standard della cosmologia", ma anche autentiche anomalie, che per essere spiegate potrebbero richiedere lo sviluppo di una nuova fisica.
L’immagine che vedete qui sotto rischia seriamente di diventare il poster che il vostro cosmologo di fiducia appenderà per un bel po’ di tempo dietro la scrivania del suo studio.
Si tratta della più recente fotografia della radiazione cosmica di fondo a microonde, la prima luce che si diffuse nel cosmo quando l’universo aveva appena 380 mila anni. A “scattarla” è stato Planck, il telescopio spaziale che l’ESA ha spedito in orbita nel 2009, mentre il suo “sviluppo” è toccato a un team internazionale di ricercatori – molti dei quali italiani – che sulla base dei primi 15 mesi di acquisizione dati hanno elaborato una mappa dell’universo primordiale con una definizione senza precedenti. Studiando le trame di quello che sembra un dipinto di arte contemporanea, gli scienziati del team-Planck hanno avuto conferme importanti del cosiddetto “modello standard della cosmologia”, fornendo una stima più accurata dell’età dell’universo, della sua velocità di espansione e della natura della massa che lo caratterizza. Ma hanno anche trovato diverse sorprese, che fanno emergere nuove domande sui meccanismi che hanno guidato le fasi iniziali dell’evoluzione dell’universo.
L’eco del Big Bang
I media a volte la definiscono l’eco del Big Bang. Per fare più in fretta, invece, gli scienziati la chiamano CMBR, dall’inglese Cosmic Microwave Background Radiation. È la radiazione cosmica di fondo a microonde, la luce più lontana nello spazio e nel tempo che possiamo immaginare. Per tracciarne l’identikit, dobbiamo catapultarci per un attimo indietro nel tempo, tornando 380 mila anni dopo il Big Bang. A quell’epoca l’universo ha una temperatura di circa 3 mila gradi e somiglia a una zuppa densa di protoni, elettroni e fotoni che interagiscono tra loro. Mano a mano che si espande, tuttavia, la sua temperatura diminuisce, e i fotoni non hanno più energia sufficiente a impedire la formazione degli atomi più semplici. Così, quando i protoni e gli elettroni si uniscono a formare atomi di idrogeno, i fotoni di questa zuppa cosmica primordiale riescono per la prima volta a propagarsi liberamente e l’universo, che fino a quel momento è stato una sorta di nebbia opaca, diventa, come si dice in gergo, "trasparente" alla radiazione. Queste onde luminose, che rappresentano la prima luce del cosmo, permeano da allora tutto l’universo e trascinate dalla sua espansione, che in un certo senso le ha “stiracchiate”, oggi sono arrivate ad avere mediamente una lunghezza d’onda di circa 2 millimetri. Quella tipica delle microonde. È questa la radiazione cosmica di fondo a microonde a cui ha dato la caccia Planck. E lo ha fatto perlustrando il cielo intero a 360 gradi (per essere più precisi coprendo un angolo solido di 4 pigreco) nello spettro di frequenza che va da 30 a 857 GHz, quello caratteristico delle microonde.
Con questi dati in mano, si è poi passati all'elaborazione vera e propria del planisfero del cosmo, che possiamo ammirare qui sotto. Per far saltar fuori da questa mappa quella della CMBR che abbiamo visto in alto, bisognava però fare un ultimo sforzo: identificare ed eliminare tutti i contributi della radiazione a microonde prodotti dalle attuali sorgenti cosmiche. Per raggiungere il "fondo" del cosmo, insomma, gli scienziati hanno dovuto grattar via tutto quello che c'era sopra.
Questa immagine mostra tutta la radiazione a microonde presente, oggi, nell'universo. Per disegnare la mappa della CMBR mostrata in alto, gli scienziati hanno dovuto ripulire questa mappa dalle componenti a microonde prodotte dalle attuali strutture cosmiche. La banda centrale caratterizza il piano su cui si trova la nostra galassia (Crediti: ESA/LFI & HFI Consortia)